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Le Domus de Janas tra mito e realtà

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Le Domus de Janas, o “case delle fate” sono delle costruzioni sacre appartenenti all’epoca neolitica sarda. Si dice siano la casa delle fate della Sardegna (non sono esattamente le fate carine alla Trilly) e nella nostra isola ne potete visitare tantissime sparse in ogni provincia. Queste necropoli rupestri recentemente dichiarate patrimonio dell’umanità dall’UNESCO raccontano la storia delle usanze funerarie preromane dell’isola.

Domus de Janas

Le Case delle Fate ora sono Patrimonio UNESCO.

Domus de Janas: un “tesoro” sardo ben custodito

La remota e aspra isola italiana della Sardegna è disseminata di oltre 7.000 monumenti in pietra a forma di alveare risalenti all’età del bronzo, noti come nuraghi , che si ergono dalla macchia mediterranea come silenziose sentinelle di un oscuro passato preromano. Ma molto prima che queste iconiche strutture sarde fossero costruite, un’altra serie di monumenti in stile Tolkien fu scavata nella roccia: antiche necropoli chiamate domus de janas , o “case delle fate”.

Le domus de janas furono erette dagli Ozieri (3200-2800 a.C.), la prima grande civiltà neolitica della Sardegna e una delle società più sofisticate del Mediterraneo occidentale. Insediatisi su fertili pianure e colline, gli Ozieri credevano che la morte non fosse la fine, ma l’inizio di un nuovo capitolo. Per incarnare questa convinzione, scolpirono circa 3.500 camere sotterranee che ricordavano le abitazioni terrene. 220 delle quali erano decorate con ocra rossa e motivi taurini, ritenuti simbolo di rinascita.

Nel folklore sardo, tuttavia, si ritiene che queste stanze siano le dimore incantate di benevole donne fatate chiamate janas. Erano esseri dalla pelle pallida e illuminata dalla luna, spesso vestiti di rosso, che filavano tessuti pregiati fatti di fili d’oro e insegnavano ai mortali i segreti della panificazione. La loro eredità è tramandata oralmente da maestri di scuola e anziani sardi. Secondo una di queste leggende, le janas emergono dalle loro dimore, con i capelli che brillano d’argento, per cantare canti ultraterreni. Altre narrano di umani scomparsi dopo essere entrati nelle dimore nascoste delle janas.

Domus de Janas

Uno dei simboli della storia, cultura e folklore sardo.

Riconosciute Patrimonio dell’Umanità nel 2025

Nel luglio 2025, 17 domus de janas sono state riconosciute dall’Unesco come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Esse perdurano non solo come resti archeologici, ma come simboli culturali che intrecciano paesaggio, tradizione e comunità.

Sono stati realizzati diversi documentari sull’argomento, anche la BBC ha realizzato un meraviglioso documentario dove mostra le Domus de Janas in varie località dell’isola. Proprio su questo ci basiamo per raccontarvi un viaggio attraverso l’isola più autentica. La prima tappa è la Necropoli di Su Crucifissu Mannu, a pochi chilometri da Porto Torres, città nord-occidentale dell’isola. L’altopiano calcareo si apre davanti a noi con bassi portali scavati nella roccia, che conducevano a 22 tombe risalenti al IV e III millennio a.C.

«Per la civiltà di Ozieri», ha detto la guida Maurizio Melis, «lo stretto dromos che scendeva nelle tombe era un passaggio liminale attraverso la terra stessa, vista come un grembo, un luogo che accoglie e trasforma».

Domus de Janas

Il sito di Su Crucifissu Mannu.

I segreti celati sotto le pietre delle Domus de Janas

Melis portò il giornalista della BBC più in profondità nella necropoli. “Su Crucifissu Mannu è stata utilizzata per secoli. Queste tombe furono scavate per la prima volta migliaia di anni fa e rimasero in uso per millenni, fino a quando i Romani non calpestarono queste terre”. Durante gli scavi del 1972, gli archeologi portarono alla luce frammenti di ceramica, statuette della Dea Madre e persino un teschio appartenuto a un uomo che aveva subito due trapanazioni più di 3.500 anni fa.

“La scienza spiega molto, ma per molti, queste tombe sono sempre appartenute alle janas”. Lasciando Su Crucifissu Mannu, ci spostiamo verso l’entroterra, mentre il paesaggio lasciava spazio a colline terrazzate con vigneti e frutteti. La strada saliva verso Sennori, un borgo dalle radici medievali adagiato sul Golfo dell’Asinara. Proprio dietro il Municipio, un piccolo cancello si apre sulla Necropoli del Beneficio Parrocchiale. Qui, case moderne sorgono direttamente sopra tombe neolitiche scavate nella roccia 5.000 anni fa, con gli ingressi nascosti tra fichi, melograni e ulivi.

Domus de Janas

I corni sacri.

I Corni Sacri di Sennori

“Questo è il cuore della tomba, segno di forza e vitalità”, racconta Elena Cornalis, Assessore alla Cultura di Sennori, mentre mi camminava accanto attraverso le sale sotterranee. Il giornalista ha percorso uno stretto dromos dove la luce del giorno si perdeva nell’ombra. Improvvisamente la sua torcia illuminò la parete e una protome taurina (la testa frontale stilizzata di un toro) emerse dall’oscurità.

“Da quando è stato riconosciuto dall’Unesco, questo luogo ha rafforzato il legame della nostra comunità con la sua storia”, ha affermato con orgoglio.

Prosegue seguendo la strada da Sennori a Ossi, circondata da falesie calcaree e uliveti. La salita lo porta verso l’altopiano di Monte Mamas, dove si trova la necropoli di Mesu ‘e Montes, a 430 metri sul livello del mare. Il sentiero, delimitato da muretti a secco e profumato di elicriso e lentisco, conduce a 18 tombe costruite in modo da assomigliare a versioni in scala ridotta delle abitazioni che si trovavano in superficie. Si credeva che questi tetti spioventi, cornici, pannelli, pilastri e false porte facilitassero il passaggio all’aldilà.

Domus de Janas

La necropoli di Mesu ‘e Montes.

La camera scolpita della necropoli di Mesu ‘e Montes: dentro le Domus de Janas

Avventuriamoci all’interno delle tombe di Mesu ‘e Montes, dove uno stretto ingresso si apre su una camera sorretta da un pilastro centrale. Sulle pareti si trovano incisioni geometriche e corna di toro, mentre una fossa circolare scavata nel pavimento suggerisce gesti rituali di rinnovamento. Tracce di ocra rossa sono ancora aggrappate alla roccia. Si ritiene che le corna di toro indichino fertilità e forza, mentre si credeva che il toro stesso (sia terreno che divino) guidasse i defunti attraverso corridoi dipinti di rosso.

Una leggenda narra che le janas un tempo condussero una donna proprio in queste grotte, insegnandole il segreto della fermentazione e donandole il Fromentu (dialetto campidanese), il lievito madre da condividere all’interno della comunità per fare il pane.

Domus de Janas

Interno di Sos Furrighesos.

Sos Furrighesos

Addentriamoci nel cuore della subregione del Goceano, si attraversa la foresta di Anela per raggiungere la Necropoli di Sos Furrighesos , che significa “le pire”. Scavate nella roccia vulcanica, le sue 18 tombe costeggiano una parete rocciosa che si erge fino a 20 metri, disposte su tre livelli del crinale. Gli archeologi hanno registrato qui più di 140 incisioni rupestri, la più ricca concentrazione di incisioni preistoriche dell’isola.

Il loro immaginario risuona ancora in tutta la Sardegna: gli artigiani locali, attraverso la tessitura e la ceramica, continuano a riprodurre motivi a spirale e a corno che discendono da questa antica simbologia.

Nella necropoli di Sos Furrighesos, di fronte all’ingresso monumentale di Sa Tumba de su Re (“la Tomba del Re”), l’archeologa Giuseppa Tanda, che ha contribuito alla scoperta del sito archeologico negli anni ’70, ha riflettuto sulla spiritualità delle domus de janas. “La morte faceva parte di un ciclo naturale”, ha affermato. “La comunità piangeva i defunti e attendeva una nuova nascita per ristabilire l’equilibrio”.

Domus de Janas

Pranu Muttedu.

Necropoli di Pranu Muttedu: un piccolo parco giochi

Mentre il viaggio del giornalista attraverso la Sardegna giungeva al suo capolinea meridionale, la strada attraversava gli aridi altopiani del Gerrei prima di giungere alla Necropoli di Pranu Muttedu, nel vasto sito archeologico di Goni. All’ombra di una grande quercia, incontra Graziano Arba, custode del sito da quasi 30 anni. “Conosco queste tombe da quando ero bambino”, racconta. “Per noi erano un luogo dove giocare o ripararci quando pioveva”. Suo zio era pastore e i pascoli di famiglia un tempo includevano alcune di queste tombe, luoghi che ora Arba cura con orgoglio.

I tre menhir (pietre preistoriche verticali) che si ergono come sentinelle stoiche intorno alle tombe, creano uno dei panorami preistorici più complessi della Sardegna. Circoli megalitici e domus de janas convivono nella stessa area sacra. Una rara combinazione che riflette la fase finale del Neolitico e le credenze della cultura di Ozieri.

In Sardegna tradizione, cultura, storia e mito si fondono: questa è l’eredità che la nostra isola ci lascia, dal passato al presente.

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